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Intelligenza artificiale, la persona e la comunicazione umana

Pubblicato il 11 Maggio, 2024
Notizie, Santo Padre

El 12 de maggio si celebra la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, un’occasione per ricordare il messaggio di Papa Francesco sugli sfide che comporta per la persona umana l’intelligenza artificiale.

Carissimi fratelli e sorelle:

La evoluzione dei sistemi della cosiddetta “intelligenza artificiale”, sulla quale ho già riflettuto nel mio recente Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, sta anche modificando radicalmente l’informazione e la comunicazione e, attraverso di esse, alcuni dei fondamenti della convivenza civile. È un cambiamento che riguarda tutti, non solo i professionisti.

La diffusione accelerata di sorprendenti invenzioni, il cui funzionamento e potenziale sono indecifrabili per la maggior parte di noi, suscita uno stupore che oscilla tra entusiasmo e disorientamento e ci pone inevitabilmente di fronte a domande fondamentali: cos’è dunque l’uomo?, qual è la sua specificità e quale sarà il futuro di questa nostra specie chiamata homo sapiens, nell’era delle intelligenze artificiali?, come possiamo continuare ad essere pienamente umani e orientare verso il bene il cambiamento culturale in atto?

Partendo dal cuore

Prima di tutto, conviene sgombrare il campo da interpretazioni catastrofiste e dai loro effetti paralizzanti. Un secolo fa, Romano Guardini, riflettendo sulla tecnologia e l’uomo, invitava a non irrigidirsi di fronte al “nuovo” tentando di «conservare un mondo di infinita bellezza che sta per scomparire».

Tuttavia, allo stesso tempo, avvertiva profeticamente: «Il nostro posto è nel futuro. Tutti devono cercare posizioni là dove compete a ciascuno […], potremo realizzare questo obiettivo se cooperiamo noblemente in questa impresa; e allo stesso tempo, rimanendo, nel profondo del nostro cuore incorruttibile, sensibili al dolore che produce la distruzione e il comportamento disumano che si cela in questo mondo nuovo».

E concludeva: «È vero che si tratta di problemi tecnici, scientifici e politici; ma è necessario risolverli affrontandoli dal punto di vista umano. È necessario che nasca una nuova umanità di profonda spiritualità, di una libertà e di una vita interiore nuove».

In questa epoca che corre il rischio di essere ricca di tecnologia e povera di umanità, la nostra riflessione può partire solo dal cuore umano. Solo dotandoci di uno sguardo spirituale, solo recuperando una saggezza del cuore, potremo leggere e interpretare la novità del nostro tempo e riscoprire il cammino di una comunicazione pienamente umana.

Il cuore, biblicamente inteso come sede della libertà e delle decisioni più importanti della vita, è simbolo di integrità, di unità, mentre evoca affetti, desideri, sogni, ed è soprattutto il luogo interiore dell’incontro con Dio. La saggezza del cuore è, dunque, quella virtù che ci permette di intrecciare il tutto e le parti, le decisioni e le loro conseguenze, le capacità e le fragilità, il passato e il futuro, il io e il noi.

È un dono dello Spirito Santo, che permette di vedere le cose con gli occhi di Dio, comprendere i legami, le situazioni, gli eventi e scoprire il loro senso. Senza questa saggezza, l’esistenza diventa insipida, perché è proprio la saggezza — la cui radice latina sapere si collega al sapore — quella che dà gusto alla vita.

Questa saggezza del cuore si lascia trovare da chi la cerca e si lascia vedere da chi la ama; si anticipa a chi la desidera e va in cerca di chi è degno di essa (cf. Sab 6,12-16). È con coloro che si lasciano consigliare (cf. Prov 13,10), con coloro che hanno il cuore docile e ascoltano (cf. 1 Re 3,9). È un dono dello Spirito Santo, che permette di vedere le cose con gli occhi di Dio, comprendere i legami, le situazioni, gli eventi e scoprire il loro senso. Senza questa saggezza, l’esistenza diventa insipida, perché è proprio la saggezza — la cui radice latina sapere si collega al sapore — quella che dà gusto alla vita.

Opportunità e pericolo

Non possiamo aspettarci questa saggezza dalle macchine. Sebbene il termine intelligenza artificiale abbia sostituito quello più corretto usato nella letteratura scientifica, machine learning, l’uso stesso della parola “intelligenza” è ingannevole. Senz’altro, le macchine possiedono una capacità inconmensurabilmente maggiore degli umani di immagazzinare dati e correlacionarli tra loro, ma spetta all’uomo, e solo a lui, decifrarne il significato.

Non si tratta, dunque, di pretendere che le macchine sembrino umane; bensì di risvegliare l’uomo dall’ipnosi in cui è caduto a causa del suo delirio di onnipotenza, credendosi un soggetto totalmente autonomo e autoreferenziale, separato da ogni legame sociale e estraneo alla sua creaturalità.

In effetti, l’uomo ha sempre sperimentato di non potersi bastare da solo e cerca di superare la propria vulnerabilità usando ogni mezzo. Partendo dai primi artefatti preistorici, usati come prolungamento delle braccia, passando per i mezzi di comunicazione impiegati come prolungamento della parola, siamo arrivati oggi alle macchine più sofisticate che agiscono come aiuto del pensiero.

Tuttavia, ciascuna di queste realtà può essere contaminata dalla tentazione originaria di diventare come Dio senza Dio (cf. Gn 3), cioè di voler conquistare con le proprie forze ciò che, invece, dovrebbe essere accolto come dono di Dio e vissuto nella relazione con gli altri.

Secondo l’orientamento del cuore, tutto ciò che è nelle mani dell’uomo diventa un’opportunità o un pericolo. Il suo stesso corpo, creato per essere un luogo di comunicazione e comunione, può diventare un mezzo di aggressione. Allo stesso modo, ogni estensione tecnica dell’uomo può essere uno strumento di servizio amoroso o di dominazione ostile.

I sistemi di intelligenza artificiale possono contribuire al processo di liberazione dall’ignoranza e facilitare lo scambio di informazioni tra popoli e generazioni diverse. Possono, ad esempio, rendere accessibile e comprensibile un’enorme ricchezza di conoscenze scritte in epoche passate o far sì che le persone comunichino in lingue che non conoscono.

Basta pensare al problema della disinformazione a cui ci confrontiamo da anni sotto forma di fake news e che oggi si avvale di deepfakes, cioè della creazione e diffusione di immagini che sembrano perfettamente verosimili ma sono false (anch’io sono stato oggetto di ciò), o di messaggi audio che usano la voce di una persona per dire cose che non ha mai detto.

Ma allo stesso tempo possono essere strumenti di “contaminazione cognitiva”, di alterazione della realtà attraverso narrazioni parziali o totalmente false che si credono — e si condividono — come se fossero vere. Basta pensare al problema della disinformazione a cui ci confrontiamo da anni sotto forma di fake news e che oggi si avvale di deepfakes, cioè della creazione e diffusione di immagini che sembrano perfettamente verosimili ma sono false (anch’io sono stato oggetto di ciò), o di messaggi audio che usano la voce di una persona per dire cose che non ha mai detto. La simulazione, che sta alla base di questi programmi, può essere utile in alcuni campi specifici, ma diventa perversa quando distorce il rapporto con gli altri e con la realtà.

Già dalla prima ondata di intelligenza artificiale, quella dei social media, abbiamo compreso la sua ambivalenza, rendendoci conto sia delle sue potenzialità che dei suoi rischi e patologie. Il secondo livello di intelligenza artificiale generativa segna un salto qualitativo indiscutibile. Perciò, è importante avere la capacità di capire, comprendere e regolare strumenti che in mani sbagliate potrebbero aprire scenari avversi.

Per questo, è necessario agire preventivamente, proponendo modelli di regolamentazione etica per frenare le implicazioni nocive e discriminatorie, socialmente ingiuste, dei sistemi di intelligenza artificiale e contrastare il loro uso nella riduzione del pluralismo, nella polarizzazione dell’opinione pubblica o nella costruzione di un pensiero unico. Così, rinnovo il mio appello esortando «la comunità delle nazioni a lavorare unita per adottare un trattato internazionale vincolante, che regoli lo sviluppo e l’uso dell’intelligenza artificiale nelle sue molteplici forme». Tuttavia, come in ogni ambito umano, la sola regolamentazione non basta.

Crescere in umanità

Siamo chiamati a crescere insieme, in umanità e come umanità. La sfida che abbiamo davanti è compiere un salto qualitativo per essere all’altezza di una società complessa, multietnica, pluralista, multireligiosa e multiculturale. Spetta a noi interrogarsi sullo sviluppo teorico e sull’uso pratico di questi nuovi strumenti di comunicazione e conoscenza. Grandi possibilità di bene accompagnano il rischio che tutto si trasformi in un calcolo astratto, che riduca le persone a meri dati, il pensiero a uno schema, l’esperienza a un caso, il bene a un beneficio, e soprattutto che si finisca per negare l’unicità di ogni persona e della sua storia, dissolvendo la concretezza della realtà in una serie di statistiche.

La rivoluzione digitale può renderci più liberi, ma certamente non se ci lasciamo catturare dai fenomeni mediatici oggi noti come camera di eco. In tali casi, invece di aumentare il pluralismo dell’informazione, rischiamo di perderci in un pantano sconosciuto, al servizio degli interessi del mercato o del potere. È inaccettabile che l’uso dell’intelligenza artificiale conduca a un pensiero anonimo, a un assemblaggio di dati non certificati, a una negligenza collettiva di responsabilità editoriale. La rappresentazione della realtà in macro-dati, per quanto funzionale alla gestione delle macchine, comporta di fatto una perdita sostanziale della verità delle cose, che ostacola la comunicazione interpersonale e minaccia di danneggiare la nostra stessa umanità. L’informazione non può separarsi dalla relazione esistenziale: implica il corpo, l’essere nella realtà; richiede di mettere in relazione non solo dati, ma anche le esperienze; richiede il volto, lo sguardo e la compassione più che lo scambio.

Penso ai reportage delle guerre e alla “guerra parallela” che si fa attraverso campagne di disinformazione. E penso a quanti giornalisti risultano feriti o muoiono sul campo per permetterci di vedere ciò che hanno visto i loro occhi. Perché solo toccando la sofferenza di bambini, donne e uomini possiamo comprendere l’assurdità delle guerre.

L’uso dell’intelligenza artificiale potrà contribuire positivamente nel campo della comunicazione se non annulla il ruolo del giornalismo sul campo, ma, al contrario, lo sostiene; se aumenta la professionalità della comunicazione, responsabilizzando ogni comunicatore; se ridà a ogni essere umano il ruolo di soggetto, con capacità critica, rispetto alla stessa comunicazione.

Domande per il presente e per il futuro

Così, spontaneamente, sorgono alcune domande: come proteggere la professionalità e la dignità dei lavoratori del settore della comunicazione e dell’informazione, insieme a quella degli utenti di tutto il mondo? Come garantire l’interoperabilità delle piattaforme? Come assicurare che le aziende che sviluppano piattaforme digitali assumano la responsabilità di ciò che diffondono e di cui traggono profitto, allo stesso modo degli editori dei mezzi di comunicazione tradizionali? Come rendere più trasparenti i criteri su cui si basano gli algoritmi di indicizzazione e disindicizzazione e i motori di ricerca, capaci di esaltare o cancellare persone e opinioni, storie e culture? Come garantire la trasparenza dei processi informativi? Come rendere evidente la paternità degli scritti e rintracciabili le fonti, evitando il manto dell’anonimato? Come evidenziare se un’immagine o un video ritraggono un evento o lo simulano? Come evitare che le fonti si riducano a un pensiero unico, elaborato algoritmicamente? E come promuovere, invece, un ambiente che preservi il pluralismo e rappresenti la complessità della realtà? Come rendere sostenibile questo strumento potente, costoso e ad alto consumo energetico? Come renderlo accessibile anche ai paesi in via di sviluppo?

Dalle risposte a queste e altre domande, capiremo se l’intelligenza artificiale finirà per costruire nuove caste basate sul dominio dell’informazione, generando nuove forme di sfruttamento e disuguaglianza; o se, al contrario, porterà più uguaglianza, promuovendo un’informazione corretta e una maggiore consapevolezza del cambiamento di epoca che stiamo vivendo, favorendo l’ascolto delle molteplici esigenze delle persone e dei popoli, in un sistema di informazione articolato e pluralista. Da un lato, si intravede lo spettro di una nuova schiavitù, dall’altro, una conquista della libertà; da un lato, la possibilità che pochi condizionino il pensiero di tutti, dall’altro, la possibilità che tutti partecipino alla elaborazione del pensiero.

La risposta non è scritta, dipende da noi. Spetta all’uomo decidere se diventare alimento di algoritmi o, invece, alimentare il suo cuore con la libertà, quel cuore senza il quale non cresceremmo in sapienza. Questa saggezza matura sfruttando il tempo e comprendendo le fragilità.

Cresce nell’alleanza tra generazioni, tra chi ha memoria del passato e chi ha visione di futuro. Solo insieme cresce la capacità di discernere, di vigilare, di vedere le cose a partire dal loro compimento. Per non perdere la nostra umanità, cerchiamo la Saggezza che è anteriore a tutte le cose (cf. Si 1,4), quella che passando per i cuori puri fa amici di Dio i profeti (cf. Sab 7,27). Ella ci aiuterà anche a orientare i sistemi di intelligenza artificiale verso una comunicazione pienamente umana.

Roma, presso San Giovanni in Laterano, 24 gennaio 2024.

Francesco

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