Per P. Fernando Pascual, LC
Le discussioni sul rispetto che meritano gli embrioni umani devono essere accompagnate dalle riflessioni che l’antropologia filosofica offre riguardo alla dignità umana.
Per secoli, la filosofia ha considerato l’essere umano dotato di un’anima spirituale, che ha un’origine unica (alcuni affermano che sia creata direttamente da Dio) e un destino eterno.
Non sono mancati pensatori antichi e moderni che hanno negato tale spiritualità, che hanno sostenuto che l’uomo è semplicemente materiale, prodotto dell’aggregazione casuale di atomi, risultato di processi evolutivi senza progetto e senza finalità.
Nell’antropologia che considera l’essere umano semplicemente materiale, o come un animale che non avrebbe una dignità superiore rispetto ad altri animali, le discussioni sull’embrione portano facilmente alla negazione della sua dignità, dignità che non avrebbero nemmeno gli adulti.
Al contrario, le antropologie che considerano l’esistenza di un’anima spirituale, una dimensione costitutiva che rende gli umani radicalmente diversi dagli animali, riconoscono che gli embrioni possiedono una dignità che merita rispetto.
I continui dibattiti sull’aborto, la fecondazione artificiale, la clonazione, non possono ignorare la domanda su cosa significhi esistere come esseri umani. Perché solo rispondendo adeguatamente a questa domanda potremo poi affrontare il rispetto che ciascuno merita, dalla concezione fino alla morte.
L’antropologia occupa, quindi, un ruolo chiave nelle numerose discussioni su cosa significhi quel momento iniziale di tutta l’esistenza umana: quello della concezione grazie a due cellule specializzate, un ovulo e uno spermatozoo, che uniti correttamente permettono l’inizio della vita di un figlio che ha la stessa dignità dei suoi genitori e degli altri esseri umani.
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