Messaggio del Papa Francesco per la Giornata Mondiale delle Missioni 2015.
La Sala Stampa della Santa Sede ha reso noto il messaggio del Papa Francesco per la Giornata Mondiale delle Missioni 2015 che si celebrerà il prossimo 18 ottobre. Di seguito offriamo il testo, tratto da vatican.va
[gdlr_space height=”30px”] [gdlr_quote align=”center” ]Cum sociis natoque penatus etaed pnis dis parturient montes, scettr aieo ridus mus. Etiam portaem mleyo.[/gdlr_quote] [gdlr_space height=”30px”]Cari fratelli e sorelle:
La Giornata Mondiale delle Missioni 2015 si svolge nel contesto dell’Anno della Vita Consacrata, e riceve da ciò uno stimolo alla preghiera e alla riflessione. Infatti, se ogni battezzato è chiamato a testimoniare il Signore Gesù proclamando la fede che ha ricevuto come dono, ciò è particolarmente valido per la persona consacrata, perché tra la vita consacrata e la missione sussiste un forte legame. La sequela di Gesù, che ha dato origine alla comparsa della vita consacrata nella Chiesa, risponde alla chiamata a prendere la croce e seguirlo, a imitare la sua dedizione al Padre e i suoi gesti di servizio e di amore, a perdere la vita per trovarla. E poiché tutta l’esistenza di Cristo ha un carattere missionario, gli uomini e le donne che lo seguono più da vicino assumono pienamente questo stesso carattere.
La dimensione missionaria, poiché appartiene alla natura stessa della Chiesa, è anche intrinseca a ogni forma di vita consacrata, e non può essere trascurata senza lasciare un vuoto che deturpa il carisma. La missione non è proselitismo o mera strategia; la missione è parte della “grammatica” della fede, è qualcosa di imprescindibile per coloro che ascoltano la voce dello Spirito che sussurra “vieni” e “vai”. Chi segue Cristo si converte necessariamente in missionario, e sa che Gesù «cammina con lui, parla con lui, respira con lui. Percepisce vivo Gesù con lui in mezzo all’attività missionaria» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 266).
La missione è una passione per Gesù ma, allo stesso tempo, è una passione per il suo popolo. Quando ci fermiamo davanti a Gesù crocifisso, riconosciamo tutto il suo amore che ci dignifica e ci sostiene; e in quel momento percepiamo che quell’amore, che nasce dal suo cuore trafitto, si estende a tutto il popolo di Dio e all’umanità intera; così riscopriamo che egli vuole prenderci come strumenti per avvicinarci sempre più al suo popolo amato (cfr. ibid., 268) e a tutti coloro che lo cercano con cuore sincero. Nel comandamento di Gesù: “andate” sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuove della missione evangelizzatrice della Chiesa. In essa tutti sono chiamati ad annunciare il Vangelo attraverso la testimonianza della vita; e in modo particolare si chiede ai consacrati di ascoltare la voce dello Spirito, che li chiama ad andare nelle grandi periferie della missione, tra le persone a cui ancora non è arrivato l’Evangelo.
Il cinquantesimo anniversario del Decreto conciliare Ad gentes ci invita a rileggere e meditare questo documento che suscitò un forte impulso missionario negli Istituti di Vita Consacrata. Nelle comunità contemplative riaccesero luce ed eloquenza la figura di santa Teresa del Bambino Gesù, patrona delle missioni, come ispiratrice del legame intimo tra vita contemplativa e missione. Per molte congregazioni religiose di vita attiva, il desiderio missionario sorto dal Concilio Vaticano II si è avviato con un’apertura straordinaria alla missione ad gentes, spesso accompagnata dall’accoglienza di fratelli e sorelle provenienti da terre e culture incontrate durante l’evangelizzazione, per cui oggi si può parlare di un’interculturalità diffusa nella vita consacrata. Proprio per questa ragione, è urgente riproporre l’ideale della missione al suo centro: Gesù Cristo, e nella sua esigenza: la donazione totale di sé alla proclamazione del Vangelo. Non può esserci concessione su questo: chi, per la grazia di Dio, riceve la missione, è chiamato a vivere la missione. Per queste persone, l’annuncio di Cristo, nelle diverse periferie del mondo, diventa il modo di vivere la sua sequela e ripaga i molti sforzi e privazioni. Qualsiasi tendenza a deviare da questa vocazione, anche se accompagnata da nobili motivi legati alle molte esigenze pastorali, ecclesiali o umanitarie, non è in consonanza con la chiamata personale del Signore al servizio del Vangelo. Nei Istituti missionari i formatori sono chiamati sia a indicare chiaramente e onestamente questa prospettiva di vita e di azione sia ad agire con autorità nel discernimento delle vocazioni missionarie autentiche. Mi rivolgo in modo particolare ai giovani, che continuano ad essere capaci di dare testimonianze coraggiose e di compiere imprese generose a volte controcorrente: non lasciatevi rubare il sogno di una missione autentica, di un seguire Gesù che comporti la donazione totale di sé. Nel segreto della vostra coscienza, chiedetevi quale sia la ragione per cui avete scelto la vita religiosa missionaria e valutate la disposizione ad accettarla per quello che è: un dono d’amore al servizio dell’annuncio del Vangelo, ricordando che, prima di essere una necessità per coloro che non lo conoscono, l’annuncio del Vangelo è una necessità per coloro che amano il Maestro.
Oggi, la missione si confronta con la sfida di rispettare la necessità di tutti i popoli di partire dalle proprie radici e di salvaguardare i valori delle rispettive culture. Si tratta di conoscere e rispettare altre tradizioni e sistemi filosofici, e riconoscere a ogni popolo e cultura il diritto di essere aiutati dalla propria tradizione nell’intelligenza del mistero di Dio e nell’accoglienza del Vangelo di Gesù, che è luce per le culture e forza trasformante delle stesse.
In questa complessa dinamica, ci chiediamo: “Chi sono i destinatari privilegiati dell’annuncio evangelico?” La risposta è chiara e la troviamo nello stesso Vangelo: i poveri, i piccoli, i malati, coloro che spesso sono disprezzati e dimenticati, coloro che non hanno come pagarti (cfr. Lc 14,13-14). L’evangelizzazione, rivolta preferibilmente a loro, è segno del Regno che Gesù è venuto a portare: «Esiste un legame inscindibile tra la nostra fede e i poveri. Non lasciamoli mai soli» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 48). Questo deve essere chiaro soprattutto per le persone che abbracciano la vita consacrata missionaria: con il voto di povertà si sceglie di seguire Cristo in questa sua preferenza, non ideologicamente, ma come lui, identificandosi con i poveri, vivendo come loro nella precarietà della vita quotidiana e nella rinuncia a ogni potere per diventare fratelli e sorelle degli ultimi, portando loro la testimonianza della gioia del Vangelo e l’espressione della carità di Dio.
Per vivere la testimonianza cristiana e i segni dell’amore del Padre tra i piccoli e i poveri, le persone consacrate sono chiamate a promuovere, nel servizio della missione, la presenza dei fedeli laici. Già il Concilio Ecumenico Vaticano II affermava: «I laici cooperano all’opera di evangelizzazione della Chiesa e partecipano alla sua missione salvatrice sia come testimoni sia come strumenti viventi» (Ad gentes, 41). È necessario che i missionari consacrati si aprano sempre più coraggiosamente a coloro che sono disposti a collaborare con loro, anche se per un tempo limitato, per un’esperienza sul campo. Sono fratelli e sorelle che vogliono condividere la vocazione missionaria inerente al Battesimo. Le case e le strutture delle missioni sono luoghi naturali per il loro accoglimento e il loro sostegno umano, spirituale e apostolico.
Le Istituzioni e Opere missionarie della Chiesa sono totalmente al servizio di coloro che non conoscono il Vangelo di Gesù. Per raggiungere efficacemente questo obiettivo, queste necessitano dei carismi e dell’impegno missionario dei consacrati, ma anche, i consacrati, necessitano di una struttura di servizio, espressione della preoccupazione dell’Obispo di Roma per assicurare la koinonía, affinché la collaborazione e la sinergia siano parte integrante della testimonianza missionaria. Gesù ha posto l’unità dei discepoli, come condizione affinché il mondo creda (cfr. Gv 17,21). Questa convergenza non equivale a una sottomissione giuridico-organizzativa alle organizzazioni istituzionali, o a una mortificazione della fantasia dello Spirito che suscita la diversità, ma significa dare maggiore efficacia al messaggio del Vangelo e promuovere quell’unità di scopo che è anche frutto dello Spirito.
L’Opera Missionaria del Successore di Pietro ha un orizzonte apostolico universale. Per questo ha anche bisogno dei molti carismi della vita consacrata, per affrontare l’ampio orizzonte dell’evangelizzazione e poter garantire una presenza adeguata nelle frontiere e territori raggiunti.
Cari fratelli e sorelle, la passione del missionario è il Vangelo. San Paolo poteva affermare: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16). Il Vangelo è fonte di gioia, di liberazione e di salvezza per tutti gli uomini. La Chiesa è consapevole di questo dono, pertanto, non si stanca di proclamare senza sosta a tutti «quello che esisteva fin dall’inizio, quello che abbiamo udito, quello che abbiamo visto con i nostri occhi» (1 Gv 1,1). La missione dei servi della Parola -vescovi, sacerdoti, religiosi e laici- è quella di mettere tutti, senza eccezioni, in una relazione personale con Cristo. Nel vasto campo dell’azione missionaria della Chiesa, ogni battezzato è chiamato a vivere il suo impegno nel miglior modo possibile, secondo la propria situazione personale. Una risposta generosa a questa vocazione universale può essere offerta dai consacrati e dalle consacrate, attraverso una vita intensa di preghiera e di unione con il Signore e con il suo sacrificio redentore.
Mentre affido a Maria, Madre della Chiesa e modello missionario, tutti coloro che, ad gentes o nel proprio territorio, in tutti gli stati di vita collaborano all’annuncio del Vangelo, vi invio di tutto cuore la mia Benedizione Apostolica.
Vaticano, 24 maggio 2015
Solennità di Pentecoste
Francesco